La Colossale Fagiuolata

La Colossale Fagiuolata

Il fondamento storico-antropologico della Colossale Fagiolata di Santhià

La celebrazione dei carnevali che vantano le origini più antiche (e che di solito prevedono i cerimoniali più complessi), si rifà ad almeno una di queste circostanze:
 
  • la fine di una tirannia, che opprimeva in modo più o meno diretto il popolo;
  • il riconoscimento di un libero matrimonio, in qualche modo ostacolato dai poteri locali;
  • la scampata paura della fame.
Va da sé che la Fagiolata, essendo una distribuzione gratuita di derrate alimentari, richiami soprattutto quest’ultimo aspetto, diventando così il simbolo dell’antico miraggio di liberarsi dalla penosa “schiavitù della fame”. Nella nostra tradizione locale se ne trova traccia fin dalla cosiddetta “Elemosina di maggio”, fissata da un preciso statuto cittadino, che troviamo al foglio 30 del “Liber Statutorum Communis Sanctae Agathae”, risalente al Trecento. Era così chiamata una straordinaria distribuzione di pane che l’amministrazione civica faceva eseguire il 1° maggio di ogni anno, festa dei santi apostoli Giacomo e Filippo. L’imposizione di questo onere ai più abbienti e l’epoca stessa fissata per la distribuzione permettono di ipotizzare che questa iniziativa fosse concepita come uno strumento (necessariamente simbolico) per scongiurare il pericolo della fame quando le scorte erano ai minimi, ovvero negli ultimi giorni prima che la terra iniziasse ad elargire i frutti della nuova stagione agricola.
Nei secoli successivi (e anche oggi, con le “pule”) le derrate alimentari destinate a questa elargizione venivano ottenute tramite questue, mentre, all’epoca degli Statuti, erano richieste alla popolazione più benestante in modo abbastanza coercitivo e annunciate tra le vie del Borgo con apposite grida. Naturalmente il dover contribuire a questa raccolta era un onere ma anche un motivo d’orgoglio, perché sottolineava l’appartenenza ad uno status di relativa agiatezza.
C’è chi ha ipotizzato che la distribuzione gratuita di derrate potesse rappresentare un modo per svuotare i magazzini in attesa dei nuovi raccolti (un po’ come accade oggi dopo le festività natalizie, con la distribuzione gratuita – o a prezzi molto scontati – di panettoni o prodotti simili), ma questo aspetto parrebbe indicare una situazione di abbondanza che, pur possibile, mal si abbina alle storiche carenze alimentari dei secoli passati.
Pare invece più corretto ricollegare la distribuzione gratuita di generi alimentari a un’altra espressione tipica dei carnevali storici, ovvero al riconoscimento della lotta secolare sofferta dal popolo alla ricerca della libertà e di un po’ di benessere, elemento che sappiamo essere presente fin dai carnevali più antichi (come quelli di origini babilonesi). Ma non si tratta propriamente di una “rivendicazione sociale”, bensì di un’occasione per far festa nell’irrazionale “logica del mondo capovolto” che caratterizza i carnevali. Fin dall’antichità, infatti, durante i giorni di Carnevale si accetta che il mondo vada al contrario rispetto al resto dell’anno: dunque è il popolo a comandare (e non i potenti di turno) e per giunta in modo irrazionale, secondo una “logica degli eccessi”, che fa sì che in quei giorni le risorse siano addirittura sovrabbondanti e ci si possa permettere di regalarle a tutti coloro che ne abbisognano, giungendo persino a sprecarle. Ci piace sottolineare questi aspetti nel seguente breve approfondimento, da cui emerge come il Carnevale di Santhià rappresenti un “condensato” della tradizione carnevalesca diffusa da secoli in molti Paesi europei, perché se è vero che il nostro Carnevale possiede numerose peculiarità locali, è pure vero che presenta diverse similitudini con altre tradizioni diffuse nel nostro continente.