Radici Europee del Carnevale

Radici Europee del Carnevale

Il Carnevale di Santhià come esempio di “fenomeno collettivo” dalle comuni radici europee

Si è detto che la principale “funzione” storico-sociale dei grandi carnevali legati alla tradizione, a Santhià così come in molti altri centri europei (si pensi ad alcuni noti carnevali d'Oltralpe, come quelli di Colonia, Basilea, Düsseldorf, Nizza, per citare solo i più famosi), è stata, dalle sue origini remote sino all’avvento della società post-industriale, quella di vivere una sorta di rivincita delle classi popolari fondata sul “rovesciamento delle abitudini”, in condizioni di tacito accordo tra le parti, ovvero in assenza di ritorsioni da parte del potere, inteso in senso lato. Ciascuno recita la sua parte, consentendo che i rapporti di forza e le relazioni sociali si rovescino: in quei giorni le classi subalterne prendono il potere, ma si tratta solo di una concessione, come ben mostrano le iniziative legate alla consegna delle chiavi della città alle maschere (e quindi a persone di estrazione popolare, almeno storicamente) o il rogo finale del Babàciu. Anche il potere religioso (che impone un codice di comportamento durante i periodi “normali” dell'anno) subisce il rovesciamento delle parti durante il tempo di Carnevale, ma si prende una rivincita nel periodo successivo, quello della Quaresima.
Tuttavia questo tacito accordo non sarebbe così desiderato se non consentisse trasgressioni, licenze e divertimenti che vanno oltre alla norma, e questo secondo aspetto (di andare oltre, di trasgredire alle regole) è un fattore di grande importanza, in quanto la cultura del Carnevale non sarebbe tale se non consentisse un momento di sospensione, una vera e propria parentesi fuori dal tempo ordinario: le regole ci sono, ma in questo periodo dell'anno risultano attenuate, e tutti – anche i potenti – ne sono consapevoli, anche se a volte la trasgressione può andare oltre il consentito. E questo ci permette di ricordare un fatto che ben sottolinea l'antichità e la documentata storicità del nostro Carnevale.
 
Il più antico del Piemonte e d'Italia - Documenti rinvenuti presso l’archivio comunale attestano che già dai primi anni del Trecento a Santhià esisteva una “Abadia”, ovvero una sorta di associazione giovanile laica che si occupava di organizzare balli e festeggiamenti in occasione del Carnevale (per certi versi si tratta di un’evoluzione delle “Compagnie dei Folli” di cui abbiamo notizie dai carnevali romani). In tali scritti ci si riferisce al Carnevale santhiatese come a un avvenimento che già allora avveniva da tempo immemorabile, con la conseguenza che le sue origini si perdono davvero nella notte dei tempi. Esiste peraltro la prova di un “richiamo” (con relativa multa) indirizzato ai giovani dell’Abadia di Santhià[1], che vengono condannati, nel 1430, a pagare 25 soldi per aver condotto in chiesa “con la massima solennità, un asino ricoperto con abiti sacerdotali”. L'abitudine che qui viene descritta risaliva a tempi di molto anteriori, però, con l’avvento del ducato sabaudo e degli Statuti, vennero introdotti nuovi vincoli per attenuare gli eccessi di questo “rovesciamento delle abitudini”. Si ricorda questa circostanza come esempio del fatto che a Santhià il Carnevale, con le sue tradizioni e i suoi eccessi, era già allora un’abitudine consolidata. Del resto, su un documento del 1893, in possesso della Pro Loco, si legge che quell’anno si festeggiava l’ottavo centenario dell’Antica Società Fagiuolesca, il che permetterebbe di retrodatarne l’esistenza ad almeno il 1093
Senza volerci dilungare, ribadiamo che il Carnevale di Santhià comprende, nella sua tradizione, molte tra le tematiche di fondo dei grandi carnevali europei, al di qua e al di là delle Alpi. Questo può essere anche dovuto al fatto che il nostro centro è sempre stato un luogo di passaggio, cosicché le tradizioni e le usanze di altri popoli possono aver contribuito a creare una tradizione locale (e viceversa). Basti pensare al fatto che già prima dell'Anno 1000 a Santhià passavano i pellegrini del centro e del nord Europa lungo la Via Francigena (lo stesso vescovo Sigerico vi passò nel 990), e che nel Trecento sorsero alle porte del borgo ben quattro “ospitalia” per l'accoglienza dei forestieri.
Ma ciò non sarebbe stato sufficiente a tramandare queste tradizioni fino ai nostri giorni se non vi fosse stata a livello locale la volontà di plasmare i diversi costumi e le diverse colture dell'Europa del tempo, e di trasmetterle alle nuove generazioni grazie alla definizione di una “Tradizione locale” che tuttora permette di rivivere ogni anno una serie di eventi, “sempre uguali e sempre diversi”, che rappresentano uno dei punti di forza del nostro Carnevale


[1]          Si veda Gianni Oliva (1998), I Savoia, Novecento anni di una dinastia, Mondadori, Milano. Citazione tratta da Costa de Beauregard, “Souvenirs du regne d’Amedéè VIII”, in AA.VV., Mémoires de l’Académie imperiale de Savoye, Grenoble, 1861, vol. IV, pag. 322.